Storia del rinfresco funebre

Nell’organizzare un funerale ci sono molti aspetti da curare, ma tra questi il “rinfresco” è raramente contemplato. L’abitudine di un banchetto in onore del caro estinto e per intrattenere gli ospiti durante la veglia è molto presente nel mondo anglosassone, mentre è del tutto assente e lontana nella cultura mediterranea e cattolica, dove il mangiare in presenza di un defunto è spesso fuori luogo. Eppure non tutti sanno che la storia del rinfresco funebre ha origini lontanissime e risale fino ai tempi degli antichi romani (sul sito FuneraliRoma troverai molte altre informazioni sull’organizzazione di un funerale).

Come nasce il rito del banchetto funebre

Nel periodo di transizione tra la paganità e la cristianità, la mentalità e il rapporto con i defunti erano sostanzialmente uniformati perché la morte non era l’annullamento della persona, ma il desiderio di conservazione spingeva a prestare ancora cure al defunto sia nell’immediatezza della morte che nel tempo. Le cure e le attenzioni prestate ai defunti esprimono la continuità dei legami affettivi tra vivi e morti e rappresentano una forma di culto spontaneo.

Nella prima éra cristiana, subito dopo il decesso si dava inizio alle celebrazioni del funus: una serie di pratiche che accompagnavano il defunto alla sepoltura che consistevano nella preparazione e vestizione, nell’esposizione del corpo, il corteo che seguiva il defunto tra canti e preghiere fino al luogo della sepoltura. Secondo il rito antico cristiano, la sepoltura consisteva nell’inumazione, la soluzione “ideale” per i credenti nella resurrezione della carne.

A completamento del funus, vi era la sinassi eucaristica, ossia un banchetto che si consumava a conclusione del funerale sulla tomba del defunto da parte dei convenuti. Un esempio è narrato dallo stesso Sant’Agostino nelle “Confessioni” (IX -12) in cui si ricorda nel dettaglio il funerale della madre Monica. Il periodo successivo era contrassegnato dal lutto e dalla commemorazione del defunto il terzo, settimo, nono, trentesimo o quarantesimo giorno dalla morte.

In tutto il mondo antico e cristiano, poi, il rito del pasto funebre si arricchiva di elementi come l’abitudine di decorare con fiori e piante le tombe o introdurre elementi di “luce” che ricordassero la luce dell’aldilà paradisiaco come conchiglie, specchi, oggetti in avorio, monete, monili in vetro o metallo. Al banchetto funebre prendevano parte parenti e amici proprio presso la tomba del defunto che era una sorta di convitato invisibile; il pasto era un momento di convivialità, di aggregazione e solidarietà familiare, concordia e rinsaldamento delle relazioni.

Il banchetto funebre aveva anche un forte valore economico e sociale, soprattutto quando i nobili “allargavano” il convito ai poveri della città, come il nobile Pammachio che nel 397 – in memoria della moglie – allestì un convito per i poveri della città all’interno della basilica di San Pietro a Roma. Questi banchetti funebri si chiamavano refrigeria, perché intendevano dare refrigerio fisico ai partecipanti e preludere alla felicità divina.

La fine dei refrigeria e dei banchetti funebri

Nel III sec. d.C., la Chiesa ufficiale cominciò ad assumere posizioni più rigide nei confronti di questi banchetti per via del carattere sempre più idolatra che andavano assumendo e per l’esagerazione e il lusso che li connotava. Nel 397, il Concilio di Cartagine vietò ogni forma di ebrietates et luxuriosa convivia funebre, vietandola tanto ai vescovi quanto ai laici e nel V secolo se ne auspicava la soppressione ovunque, come pratica inadeguata e non consona ai credenti. Nelle catacombe fin oltre al IV secolo si ritrovano effigi, decorazioni e iscrizioni in cui sono tuttora evidenti bancali, mense, pozzi e cattedre scavate nel tufo come ideali scranni per il defunto nel momento del refrigerium.

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